I Dispositivi di Sostituzione Sensoriale (in inglese SSD Sensory
Substitution Device) "non invasivi", a differenza delle neuroprotesi,
non intervengono sulla visione ma si avvalgono degli altri canali
sensoriali. Quelli progettati per i non vedenti si basano sul principio
della cattura dell'informazione visiva da parte di una telecamera.
L'informazione viene poi elaborata da sofisticati algoritmi tramite un
processore e trasmessa attraverso un'interfaccia audio (cuffie o
auricolari) o elettro-tattile (matrici di varia grandezza a seconda
della zona del corpo dove devono essere posizionate: lingua, addome,
fronte). L'utilizzatore, attraverso un programma formativo, viene
addestrato all'utilizzo del dispositivo e a codificare gli stimoli che
riceve per poter interpretare le informazioni ambientali in questa
nuova forma e modalità sensoriale (tattile o uditiva). Il concetto
generale di questi dispositivi è sfruttare la plasticità cerebrale, la
percezione e l'integrazione multisensoriale.
Il primo lavoro pionieristico in questo senso è stato fatto nel 1970 da Paul Bach-y-Rita. Il suo dispositivo, chiamato Tactil Vision Sensory Substitution System, trasmetteva il segnale a una griglia vibro-tattile montata sullo schienale di una sedia da dentista, il soggetto, sedendosi, appoggiava la schiena alla griglia e muoveva la telecamera montata sul braccio. Nonostante fosse molto ingombrante e non utilizzabile in movimento, il sistema consentì a delle persone cieche di eseguire alcuni compiti e motivò lo sviluppo di altri dispositivi sempre più piccoli e sofisticati. Alcuni di questi dispositivi sono il "vOICe" sviluppato da Meijer P. (1992) che utilizza il suono per imparare a "vedere"; mentre un dispositivo che usa lo stimolo elettro-tattile è il "Tongue Disply Unit" (TDU) sviluppato da Bach-y-Rita, Tyler e Kaczmarek (2003).
Questi SSD sono ancora usati soprattutto per gli esperimenti scientifici e permettono il riconoscimento di lettere presentate su uno schermo, la localizzazione di oggetti su un tavolo, la rilevazione di particolari contorni o oggetti in un percorso strutturato. Dai racconti, per lo più aneddotici, sembra che la pratica nell'uso di tali dispositivi consenta di identificare le espressioni facciali, leggere parole semplici e navigare nella vita di tutti i giorni. Questi risultati devono però attendere conferme dalla ricerca formale. Infatti, gli aspetti negativi riguardano la loro commercializzazione da parte di privati che attraverso una propaganda pseudoscientifica esaltano ed esagerano le potenzialità di questi dispositivi alimentando false speranze nell'utenza.
Il primo lavoro pionieristico in questo senso è stato fatto nel 1970 da Paul Bach-y-Rita. Il suo dispositivo, chiamato Tactil Vision Sensory Substitution System, trasmetteva il segnale a una griglia vibro-tattile montata sullo schienale di una sedia da dentista, il soggetto, sedendosi, appoggiava la schiena alla griglia e muoveva la telecamera montata sul braccio. Nonostante fosse molto ingombrante e non utilizzabile in movimento, il sistema consentì a delle persone cieche di eseguire alcuni compiti e motivò lo sviluppo di altri dispositivi sempre più piccoli e sofisticati. Alcuni di questi dispositivi sono il "vOICe" sviluppato da Meijer P. (1992) che utilizza il suono per imparare a "vedere"; mentre un dispositivo che usa lo stimolo elettro-tattile è il "Tongue Disply Unit" (TDU) sviluppato da Bach-y-Rita, Tyler e Kaczmarek (2003).
Questi SSD sono ancora usati soprattutto per gli esperimenti scientifici e permettono il riconoscimento di lettere presentate su uno schermo, la localizzazione di oggetti su un tavolo, la rilevazione di particolari contorni o oggetti in un percorso strutturato. Dai racconti, per lo più aneddotici, sembra che la pratica nell'uso di tali dispositivi consenta di identificare le espressioni facciali, leggere parole semplici e navigare nella vita di tutti i giorni. Questi risultati devono però attendere conferme dalla ricerca formale. Infatti, gli aspetti negativi riguardano la loro commercializzazione da parte di privati che attraverso una propaganda pseudoscientifica esaltano ed esagerano le potenzialità di questi dispositivi alimentando false speranze nell'utenza.
Nel complesso questi dispositivi attualmente
rappresentano ancora una grande sfida, sia per i ricercatori sia per le
persone non vedenti che li utilizzano (Striem-Amit, Bubic e Amedi,
2012; cit. in Murray e Wallace, 2012; ch. 21).
Nessun commento:
Posta un commento